Molte domande senza risposta nel documento preparato dalle Regioni
Dopo mesi di anticipazioni e voci di corridoio è stata resa pubblica la prima bozza della riforma della medicina generale, che prevede – tra le altre cose – la specializzazione universitaria in cure primarie, la possibilità di scegliere la dipendenza e l’accreditamento per i convenzionati. La riforma vorrebbe creare una sanità territoriale “che risponda più efficacemente alle esigenze dei cittadini”, ma molte domande rimangono senza risposta.
Il documento afferma che “il rapporto tradizionale tra i medici convenzionati e i Sistemi Sanitari Regionali non garantisce sempre un’adeguata risposta ai bisogni della popolazione”: per questo sono stati proposti cambiamenti rilevanti, come il cambiamento del percorso formativo dei medici di famiglia. Ad oggi lo si diventa infatti con un corso di formazione triennale e per questo la riforma prevede l’istituzione di una vera e propria specializzazione universitaria. Si prevedono poi parametri standard nazionali per il numero di medici necessari e le risorse da assegnare, e la possibilità per le singole Regioni di decidere in proprio se reclutare medici in dipendenza (con il ruolo di dirigenti) o convenzionati. Sono previste anche facilitazioni per il riconoscimento dei titoli accademici per gli attuali medici di famiglia, ma anche la trasformazione della convenzione in accreditamento, preferibilmente per i gruppi di medici che operano nelle Case della Comunità. Infine, indipendentemente dal tipo di rapporto di lavoro, sono previste un certo numero di ore di lavoro nelle strutture create con il Pnrr e obblighi immediati per i medici convenzionati, sottraendo alcuni aspetti alla contrattazione collettiva.
“La riforma”, commenta Maurizio Pozzi, Segretario Provinciale FIMMG, “prevede un sostanziale ‘liberi tutti’ per le Regioni, che avranno mano libera nel decidere quanti medici impiegare e con quale rapporto di lavoro. Questo rischia di aumentare le disparità tra i Sistemi Sanitari, e non è un problema da poco. Bene invece la specializzazione, perché il corso di formazione era ormai superato. Rimane”, prosegue Pozzi, “l’incognita dei costi: il Pnrr ci ha dato i soldi per gli investimenti ma non per le spese correnti, e a ora non sappiamo come verranno reperite le risorse per il nuovo sistema una volta che sarà a regime. Il Covid ha posto di nuovo il problema drammatico di rinforzare i presidi sanitari sui territori e a noi non interessa da dove arriveranno le risorse ma solo che arrivino, o le zone disagiate e carenti lo rimarranno, che ci siano Case della Comunità o no. Senza personale e servizi per i cittadini queste strutture rimarranno scatole vuote e non risolveranno nulla”, conclude il Segretario.

(Photo credits: Thirdman/Pexels)